Il saluto di don Giacomo Cavasin

È forse l’esortazione più bella che il Sacerdote rivolge a sé e ai suoi fedeli: “Sursum corda – In alto i nostri cuori!”. E lo fa tutti i giorni, nel celebrare la Santa Messa, a introduzione del momento più importante: la consacrazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Gesù. È l’incitamento più bello perché ci ricorda dove orientare lo sguardo, il cuore, la mente: a Dio!
E difatti i Sacerdoti sono stati scelti da Gesù e inviati in mezzo al Popolo di Dio per celebrare i Sacramenti e rinnovare ogni giorno questa esortazione: “In alto i vostri cuori”, cioè: accorgetevi che la salvezza viene dall’alto, viene solo dal Dio Trinitario, Padre, Figlio e Spirito Santo. In alto i vostri cuori, perché il vostro sguardo, nel cammino lieto e faticoso della vita, sia puntato sempre verso la meta: il Paradiso.
Ecco, nel congedarmi da questa mia Comunità Pastorale della Serenza, il mio esame di coscienza parte proprio da questo invito del Messale: “In alto i nostri cuori”.
E mi domando due cose.
La prima: “Sono stato sufficientemente generoso nel proporre questa esortazione alla mia gente, ai miei ragazzi, a coloro che hanno cercato da me una parola di conforto, di consolazione, di conferma nella fede? Ho saputo orientare solo a Dio e non a me i fedeli affidatimi? Le mie parole, i miei giudizi, le mie considerazioni, le mie proposte, tutto quanto ho detto e fatto è stato a servizio della Santa Chiesa e per il bene delle anime?”.
La seconda: “Tu, don Giacomo, hai saputo costantemente alzare i tuoi occhi verso l’alto? Hai saputo alzare lo sguardo verso il Tabernacolo (ah, a questo proposito, piccolo rimprovero per tutti: per poter alzare lo sguardo verso il Tabernacolo bisogna prima mettersi in ginocchio poiché questa è la prospettiva corretta per adorare il Re dell’Universo!)? Nei momenti di gioia e di raccolta dei frutti seminati hai saputo alzare lo sguardo per ringraziare Cristo e i tuoi Santi protettori? E nei momenti di difficoltà, di delusione e di solitudine hai saputo alzare lo sguardo? Nei frangenti in cui qualche lingua lamentosa, cattiva e tagliente ti ha accusato, calunniato, diffamato o mancato di rispetto, hai saputo alzare lo sguardo verso Dio per domandare la pace del cuore, la forza di perdonare e il coraggio di andare avanti con la sola pretesa di piacere anzitutto a Gesù?”.
Ecco, come vedete, sono proprio sotto l’assedio della mia coscienza, la quale in questo frangente così intenso, mi suggerisce di non perdermi in troppi pensieri, bensì di chiedere scusa e di ringraziare.
Sì, anzitutto domando scusa. La nostra è stata la prima Comunità cristiana che Sua Eccellenza l’Arcivescovo mi ha chiesto di servire. E quando uno è giovane ha tante energie, è vero, ma poca esperienza; tanto è il desiderio di far vedere quanto uno valga, ma sempre poca è l’esperienza. E questo ti porta a fare tanti errori, lo riconosco. E allora domando perdono se le mie mancanze e i miei errori hanno fatto del male a qualcuno, se qualche parola di troppo ha rotto qualche osso. Ma soprattutto domando perdono se a causa mia qualche fedele si è allontanato dal Signore. Su tutto questo chiedete assieme a me a Dio di usarmi misericordia, perché il suo giudizio non sia troppo severo. 
E, infine, ringrazio! Non potete immaginare, carissimi, quanti doni il Signore riserva ai suoi Sacerdoti! ringrazio il buon Dio per la salute fisica e per il dono della fede, con cui ho potuto servire ciascuno di voi. Nello scrivere queste righe ho ben in mente tantissimi volti e tantissime storie: tutti e tutto conservo nel cuore. Lascio la mia casa, che è la nostra Comunità della Serenza, nella totale certezza che il Corpo di Cristo, la Chiesa cattolica, è uno solo e niente e nessuno potrà mai rompere i legami di amicizia e di paternità spirituali che sono stati costituiti in Cristo.
Allora, sursum corda, carissimi, piccoli e grandi, in alto i nostri cuori! Con questa esortazione e prospettiva ho cercato di guidarvi in questi anni e con questa stessa da voi ora mi congedo: guardate verso Cristo, sempre! Sursum corda!

Sempre vostro, Don Giacomo
 

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